di Ugo Perugini
L’autobiografia “Vita mia” fu scritta da Pietro Consagra nel 1980. Presentata al Premio letterario Mondello, ottenne il Premio Speciale della Giuria. L’editore Skira l’ha riproposta lo scorso anno e l’ha presentata mercoledì scorso, alla Galleria d’Arte Moderna, in concomitanza con la prossima pubblicazione del Catalogo ragionato delle opere dello scultore siciliano.
La diatriba “realismo astrattismo”
Il libro è quanto di meno autocelebrativo si possa pensare. All’inizio degli anni Ottanta, Consagra è al culmine della sua carriera, ma della sua esperienza artistica parlerà solo in un breve capitolo finale. Non ha reticenze nel raccontare la sua terra, la vita in Sicilia, drammatica, legata a valori ancestrali, poverissima, i suoi problemi affettivi.
Ed è altrettanto diretto nel riportare la sua vicenda intellettuale, il fermento e il dibattito culturale a cui partecipa, spesso senza esclusione di colpi, nell’area della Sinistra, i sodalizi e i contrasti sul ruolo dell’arte. Il suo stile di scrittura, essenziale, è quasi un’operazione “in levare” ma nel suo procedere aneddotico non manca un certo spirito polemico, mai però fine a se stesso.
Nella diatriba “realismo-astrattismo”, raccontata con passione ma senza livore, esce lo spaccato di una Sinistra incapace di unire le varie anime che la compongono, come capita anche oggi. Consagra assume posizioni decise. E’ contro un certo perbenismo borghese, contro certe forme di accondiscendenza al potere, contro l’ipocrisia del sistema.
Difende a spada tratta l’astrattismo, nato, secondo lui, “per difendere (la cultura) come una coscienza oltre i problemi quotidiani, oltre i problemi di dominio militare e dei mercanti”. L’astrattismo per lui è spiritualità, provocazione, tanto da aggiungere: “Tutto quello che c’è stato di fantastico nel nostro secolo non è venuto dal realismo. Di realistico nel mondo c’è stato solo l’armamento militare. … Un’arma contro la guerra è venuta solo dal fantastico”. L’adesione all’astrattismo è per lui anche sinonimo di trasgressione nei confronti di una certa retorica politica, conservando l’orgoglio di essere a un tempo marxista e astrattista.
Il rapporto con la materia e con il colore
Consagra racconta la fame patita, è convinto che la miseria della gente la si possa combattere e, fin da giovanissimo, quando si iscrisse alla scuola serale di disegno, cercò di riscattare la sua umile origine attraverso la sua arte per “vivere – come disse lui stesso – da falco sulle cime di un orgoglio da povero.” Il suo, fin dall’inizio, è un rapporto con la materia, con la creta da modellare in particolare, rinunciando al colore troppo costoso. Quel colore che, per paradosso, negli anni Sessanta sarebbe stato per Consagra, invece, una “necessità”, un elemento primario nel processo di realizzazione della sua idea creativa.
Tra il 1945 e il 1949 la cultura è quanto mai viva. Nascono, e muoiono anche rapidamente, gruppi, movimenti, riviste. Lui è tra i protagonisti di “Forma I” che va contro un certo establishment, presente anche nel Partito Comunista, considerato troppo conservatore. Dopo la Biennale d’arte del 1964, Consagra assumerà anche una posizione molto critica nei confronti della Pop Art, definendola, insieme al realismo, un movimento decadente e cinico. E inizierà il distacco dal Pci e dalla politica militante.
Nel suo libro, Consagra si chiede cosa abbia portato lui agli altri. “Ho esportato il mio carattere – si risponde- ne ho fatto un valore e un mito. Ma che cosa è questo carattere? E’ un diritto umano a non subire sopraffazioni, è il patrimonio della propria esistenza, la possibilità di scegliere e reagire con una propria coscienza…”.
L’esperienza della “Città frontale”
Qui sta tutto l’impegno e l’integrità ideologica di Consagra che troverà una ulteriore conferma, quando potrà dare al suo lavoro di scultore anche un respiro architettonico e ambientale, grazie al felice incontro con il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao. Gibellina era stata colpita dal terremoto del Belice del 1968 e bisognava ricostruire una città nuova. Consagra si impegna a realizzare questa utopia con la “Città frontale”.
L’intuizione della frontalità di Consagra è una forma espressiva ideale che produce una scultura bidimensionale, nella quale la luminosità del colore svolge un ruolo fondamentale. Le composizioni sembrano dei bassorilievi, in cui rivivono, con forza formale, i valori plastici tradizionali.
Consagra crea una scultura in cui si può abitare perché lui intende l’architettura e l’urbanistica non in chiave razionalistica e funzionale, ma caricandola di valori e sentimenti. In una visione ancora oggi di grande interesse per le nuove generazioni, anche se l’opera non fu mai conclusa e resta abbandonata, nonostante vari tentativi, anche di recente, di ridarle vita. Rimane un’utopia, il sogno di una città sperimentale dal volto umano, un’occasione mancata ma anche una speranza per il futuro.
“Vita mia”, di Pietro Consagra, Edizioni Skira, pag. 168, euro 16,00