di Ugo Perugini
Si trova in via Gonin 52 e si chiama Ruben. E’ un ristorante aperto dal lunedì al sabato dalle 18,45 alle 20,30 ed è in grado di offrire fino a 500 coperti. La particolarità? E’ un locale in cui si paga 1 euro a pasto (gratis per i minori di 16 anni).
Non chiamiamola mensa dei poveri, sarebbe riduttivo. Il Ristorante Ruben vuole esser un aiuto alle persone che, in una difficile circostanza della loro vita, si trovano in ristrettezze economiche, ma rispettando sempre la dignità di ognuno. Le persone che hanno questi problemi, li segnalano a uno dei 140 enti territoriali associati e i loro nominativi vengono trasmessi a Ruben, che emette una tessera che darà loro il diritto di frequentare il ristorante, usufruendo delle particolari agevolazioni previste.
Da sottolineare che l’ambiente è accogliente, ci si può andare con la famiglia, si ha la possibilità di scegliere tra due menu diversi, si cena in tutta calma (non bisogna lasciare il posto ad altri) e nelle quasi due ore in cui si sta a tavola si può socializzare con i vicini, perché il pasto diventi anche una vera occasione di convivialità.
Da chi arriva questo miracolo? Dalla Fondazione Pellegrini. Molti ricorderanno questo nome. Ernesto Pellegrini ha fondato il Gruppo che porta il suo nome, oltre 53 anni fa, e, come noto, si occupa di ristorazione aziendale, con oltre 6000 dipendenti. Pellegrini è stato anche Presidente dell’Inter degli anni Ottanta, quella di Rumenigge e Matthaeus per intenderci, che vinse il famoso scudetto dei record. Nel 2013 è stata costituita la Fondazione Pellegrini Onlus che ha l’obiettivo di promuovere e sostenere concreti progetti per il sociale. Il ristorante Ruben è uno di questi.
Ma perché il nome Ruben? Ce lo spiega lo stesso Presidente.
“Ho voluto dedicare il primo frutto della Fondazione, il Ristorante, a una persona che, nella mia infanzia e nella mia gioventù, ha avuto per me una grande importanza: Ruben. Ruben ha lavorato per tre generazioni nella mia famiglia: i miei nonni, i miei genitori, per me e mio fratello. I miei erano ortolani, abitavamo in una cascina alle porte di Milano e Ruben viveva con noi. La sua casa era un angolo della stalla. Quando negli anni Sessanta ci hanno tolto i terreni che avevamo in affitto e hanno abbattuto la nostra cascina, siamo stati costretti a trasferirci in città e Ruben si è ritrovato solo, in una baracca di fortuna. Io, che allora avevo vent’anni e non avevo possibilità economiche, mi ero riproposto di aiutarlo, ma purtroppo non ho fatto in tempo: un giorno d’inverno, infatti, sul giornale è comparsa la notizia che Ruben era morto di freddo nella sua baracca. Ho sempre conservato nel mio cuore il ricordo di quell’uomo buono, gran lavoratore che non è riuscito ad affrontare un cambiamento forte, duro, che la realtà di quel periodo gli aveva imposto.”