di Carlo Radollovich
Un curioso caso di sconfinamento di due nostri poliziotti presso la dogana di Brogeda ha rischiato di tramutarsi in un antipatico e spiacevole incidente diplomatico tra Italia e Svizzera.
Ecco i fatti che risalgono al 26 gennaio, ma che sono stati resi noti soltanto oggi. Sono le due di notte e una volante della polizia di Como intercetta un’auto italiana in fuga, guidata da un ubriaco che in precedenza aveva provocato un incidente. Scatta l’inseguimento e, giunti al confine, come vuole il protocollo, viene chiesto agli agenti svizzeri l’autorizzazione per poter proseguire l’inseguimento in territorio elvetico. Il permesso viene concesso e, alcuni chilometri dopo, precisamente a Coldrerio, la vettura condotta da un piemontese, verosimilmente in preda ai fumi dell’alcol, viene finalmente bloccata.
Contemporaneamente, un’auto della polizia ticinese si accoda alla volante italiana, chiede i motivi (subito confermati) che hanno causato lo sconfinamento e la vicenda sembra chiudersi qui. Ma poco dopo giunge sul posto una pattuglia proveniente da Lugano che subito contesta il comportamento dei nostri poliziotti.
I due sono invitati a consegnare le armi in loro possesso e vengono, incredibilmente, sottoposti al consueto test dell’etilometro. Il comportamento dei nostri uomini, come poi sottolineato dal loro comandante, è stato del tutto esemplare. Si può tuttavia immaginare la frustrazione e il fastidio provati, trattati come comuni furfanti. Ma c’è dell’altro. Essi vengono invitati presso la gendarmeria svizzera e qui sono interrogati per quasi due ore, sottoposti ad un’infinità di domande relative al loro comportamento in territorio elvetico. Alla fine dei colloqui, che rispecchiano una evidente forzatura, i nostri poliziotti vengono accompagnati al confine alle sei del mattino con restituzione delle armi.
Certamente, il nostro ministero degli Esteri farà luce su questo increscioso comportamento da parte svizzera. Resta comunque l’amara constatazione da parte dei nostri uomini che, malgrado la buona fede confermata e l’autorizzazione richiesta prima di sconfinare (sembra che la pattuglia proveniente da Lugano non ne fosse al corrente), sono stati presi di mira nel peggiore dei modi, senza nemmeno un segno di formale cordialità.