Della pace – come della libertà e dell’aria – ci si accorge quando comincia a mancare.
E’ stata presentata martedì scorso, presso la Casa della Memoria (via Confalonieri 14), una interessante ricerca sulla pace alla presenza di Alberto Martinelli, Francesco Varanini, Luca Solari.
Assoetica e Scenari hanno condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana una ricerca, elaborata da Antonella Pogliana, tramite test simbolici per capire cosa intendono gli italiani per “pace”.
Cosa significa usare test simbolici? Significa svolgere una ricerca che va oltre le dichiarazioni razionali dell’ovvio e del socialmente accettabile, avvalendosi di immagini di animali per arrivare al significato più profondo che la pace, riveste per l’individuo.
Alle persone intervistate venivano fatte vedere alcune foto di animali tra i quali scegliere quelli che meglio rappresentano, secondo loro, il concetto di pace: gufo, cicala, aquila, coniglietto, cane da guardia, orsa, delfino, gatta, pantera, giovane puledra, cerbiatto, rondine, castori, cavallo robusto. Alle persone, dopo che hanno operato la scelta dell’animale, sono state poi sottoposte delle domande per sondare giudizi e opinioni in modo più razionale.
Ecco i risultati: Vince nell’immaginario collettivo la rondine che sfreccia nel cielo (20,1%) seguita dalla gatta che fa le fusa sul divano di casa (13%), terzo il coniglietto che bruca l’erba (12,4%) e, infine, il delfino che addestra i piccoli (11,3%).
Insomma, le persone, al di là delle immagini un po’ troppo infantilizzate e banalizzate del questionario visivo, considerano la pace come un fatto scontato, dato per acquisito. Una cosa che c’è ma che non richiede alcun impegno per costruirla e per mantenerla, utopistica e soprattutto passiva, da godersi senza farsi troppe domande.
Viene in mente la vecchia storiella del pesce anziano che chiede ai due giovani pesciolini. “Come è l’acqua oggi?”. E i due lo guardano stupiti e rispondono. “Ma che diavolo è l’acqua?”
E’ evidente che le immagini degli animali, nei quali immedesimarsi, porta inesorabilmente a considerare la pace un fatto individuale, un atteggiamento personalistico. La condizione ideale per esprimere un piacere edonistico, una libertà di azione senza limiti, facilitando una immagine egoistica, autocentrata. Sfugge in questa chiave, o viene messo in second’ordine, l’aspetto collettivo della pace, la necessità che la si debba trovare insieme, attraverso una sensibilità e una azione civica diretta e cercando una soluzione comune per salvaguardarla.
Per assurdo, sembra valere questa considerazione: la guerra unisce le persone, se non altro, per il fatto che viene individuato un nemico comune contro cui opporsi; la pace, al contrario, soprattutto nelle nostre società individualiste, viene sempre vista come disgregativa, una opportunità per atteggiamenti di piacere, autonomia, utilità immediata ma personalistica.
Le altre paure degli italiani
In calce a questa ricerca sulla pace che preoccupa il 57,3% delle persone, sono emerse anche altre paure che assillano i nostri concittadini: la crisi delle risorse energetiche 61,2%, l’inquinamento 57,9% e la sostenibilità ambientale 54,1%.
Il livello della paura è stato declinato in quattro sotto specie: i tremebondi (1,6%), una minoranza che sono terrorizzati da questi avvenimenti fino a sentirsi impotenti e paralizzati. I dipendenti (35,9%) che non soffrono di grande paura ma hanno bisogno di protezione e si affidano ad altri che decidano per loro e si prendano le relative responsabilità
I gaudenti (40,5%) che non hanno paura ma, grazie all’autostima che li guida, sono consapevoli di quello che succede attorno a loro, anche se non si impegnano troppo in prima persona, non sono disposti a fare rinunce, preferendo evitare coinvolgimenti e partecipazione. Stanno a guardare, approfittando però nel frattempo di quello che offre loro la società.
E infine il 22,1% della popolazione (i coscienti) che, pur avendo caratteristiche simili ai gaudenti, è decisamente meno egoista ed edonista. Si tratta di persone disposte a rinunciare a una certa quota di piacere in funzione di un piacere futuro. Sono responsabili nel lavoro che fanno e credono nell’organizzazione, disponibili, se necessario, a qualche sacrificio per aiutare la società in cui vivono. Si tratta in realtà di una minoranza (un quinto della popolazione) ma forse occorre accontentarsi.