L’agricoltura è una delle attività più antiche dell’uomo. Eppure, negli ultimi anni anche questo settore si è aperto alle nuove tecnologie. E anche qui, come in quasi tutti i mestieri che l’uomo continua a svolgere, è entrata l’Intelligenza Artificiale.
Chi vive in questi settori pensando al passato, può essere dispiaciuto di questa trasformazione, ma bisogna considerare che non è possibile fermare la scienza e la tecnologia, anche perché aiutano chi continua a fare questi lavori a migliorare le tecniche, l’efficienza, utilizzando le risorse e risparmiando le energie.
E’ vero che in tal modo, sembra smarrirsi quell’alone di poesia che ha sempre circondato queste pur dure e faticose attività dell’uomo. Pensiamo a Esiodo e Virgilio. Le Georgiche sono un poema didascalico dedicato alla coltura dei campi, alla coltivazione delle piante, all’allevamento del bestiame e delle api. Il timore è che si perdano queste esperienze che pure hanno condizionato fino a pochi anni fa la vita di migliaia di persone.
Perché la memoria non si smarrisca bisogna che ci aiutino quelle persone, sensibili e attente come Sergio Camellini, cultore di arte povera della civiltà contadina e dei mestieri, che hanno rispetto del nostro passato e hanno voluto conservare migliaia di attrezzi e strumenti che ricordano questi lavori, non solo legati ai campi, ma anche alla quotidianità e ai diversi mestieri. E ci permettono di comprenderne il valore e il senso per non perdere le nostre radici.
Sergio Camellini, poeta e scrittore di valore, ha fondato, venti anni fa, una casa-museo a Borgo Serrazzone, frazione di Fanano, un piccolo paese in provincia di Modena, sull’Appennino emiliano. Il luogo è incantevole, affacciato com’è su una cascata e non lontano da Grizzana, dove si trova la casa in cui lavorò il grande pittore Giorgio Morandi, attuale sede dell’Archivio Museo Cesare Mattei.
La casa-museo creata da Camellini consente ai visitatori di compiere un viaggio a ritroso nel tempo, tra i ricordi del passato, avendo la possibilità di vedere quasi 2500 pezzi, che documentano la cultura e la vita contadina e artigianale di quei luoghi.
Si tratta di arnesi e attrezzi di lavoro, usati nelle attività quotidiane e ritrovati tra le campagne e sui mercatini dei paesi vicini, fino alla fine del Novecento, e che permettono di ricostruire la vita di coloro che lavoravano in quei luoghi: fabbri, falegnami, calzolai, sarti, vignaioli, fornai, tessitrici, lavandaie, stiratrici, barbieri, boscaioli, intagliatori-scultori, lattai, raccoglitori di mirtilli.
Vari lavori, spesso molto umili e ormai scomparsi, che però portano alla luce antiche usanze, abitudini, tradizioni, sacrifici, e scandiscono una vita quotidiana, semplice, modesta ma anche piena di passione e condivisione.
Uno dei luoghi più frequentati in quelle epoche passate, soprattutto d’inverno quando faceva più freddo, era la stalla, riscaldata dal fiato dei buoi. Stalla che diventava un luogo di ritrovo privilegiato, quasi un luogo sacrale nel quale la famiglia si riuniva per condividere esperienze, storie, leggende, in un clima di intimità e pace.
Non si tratta semplicemente di facile nostalgia, o rimpianto del passato. Ripensando al passato troppo spesso finiamo per idealizzarlo. E questo non sarebbe giusto. Bisogna che la nostalgia ci aiuti a comprendere meglio il percorso che l’umanità ha compiuto, con i suoi limiti e i suoi errori, ma ci consenta anche di non perdere di vista certi valori ancora oggi validi in modo che sappiano guidarci nelle nostre scelte future.